Museo del Cenacolo Vinciano

    Il convento di Santa Maria delle Grazie ospita una delle più famose attrazioni al mondo, L’Ultima Cena o Cenacolo di Leonardo da Vinci, un affresco murario del Quattrocento raffigurante la scena dell’ultima cena di Gesù narrata nel Vangelo. Progettato e realizzato nel refettorio del convento dominicano, oggi la storia ha separato l’affresco dal suo contesto originario, un ambiente che era fortemente inserito nella vita quotidiana del convento ed il percorso che oggi seguiamo per raggiungerlo ci permette, solo in parte, di comprenderne il legame con il resto della costruzione. Lungo il percorso che porta al refettorio, nel primo corridoio, restano vasti frammenti di affreschi della metà del Seicento.
    Ludovico Sforza, detto il Moro, aveva creato a Milano una corte molto attiva, frequentata da artisti, intellettuali e musicisti. Tra il 1478 e il 1482 arrivarono a Milano Donato Bramante e Leonardo da Vinci, giunto da Firenze. I due artisti, tra i più importanti del Rinascimento italiano, si incontrarono proprio qui, nel Convento di Santa Maria delle Grazie, per dare vita a uno dei complessi monumentali più straordinari della storia dell’arte italiana. Alla fine del secolo, Ludovico Sforza volle fare di Santa Maria delle Grazie un luogo di celebrazione del proprio potere e il mausoleo di famiglia. Per questo il duca finanziò importanti commissioni nel complesso, come la ristrutturazione della tribuna della chiesa, che affidò a Donato Bramante. La decorazione del refettorio del convento fu invece affidata a Leonardo da Vinci, al quale Ludovico richiese una rappresentazione dell’Ultima Cena di Cristo tra i dodici apostoli. Leonardo, che vi mise mano dal 1496 al 1498, sperimentò con il cenacolo, una nuova tecnica pittorica: invece di applicare velocemente la miscela di acqua e colore sull’intonaco fresco, come prevede la tecnica tradizionale dell’affresco, Leonardo impiegò un misto di tempera e olio che gli consentì di dipingere più lentamente e direttamente sulla parete asciutta. Purtroppo, la sua intuizione condannò la pittura al deterioramento e ne compromise la conservazione.