“Ultima Cena” di Leonardo

Definito da Giorgio Vasari nelle su Vite come “cosa bellissima e maravigliosa”, il Cenacolo, è forse la testimonianza più completa del ingegno multiforme, del desiderio di sperimentare, della inesauribile curiosità del suo artista. Nel periodo in cui lavora al dipinto, l’ultimo decennio del Quattrocento, Leonardo è infatti impegnato in studi sulla luce, il suono, il movimento ma anche sulle emozioni umane e sulla loro espressione. Di questi interessi troviamo puntuale riscontro nel Cenacolo, dove, più che forse in ogni altra opera leonardesca, è evidente l’attenzione dell’artista per la raffigurazione – attraverso posture, gesti, espressioni – di quelli che lui stesso chiamava i “moti dell’animo”. 
L’avventura dell’Ultima Cena inizia nel 1494. Per lavorare con calma, Leonardo sperimenta una tecnica di fissaggio del colore sulla parete diversa dal tradizionale affresco, che assicura risultati duraturi ma impone tempi molto stretti nell’esecuzione: il Cenacolo viene portato a termine solo nel 1498, ma ben presto comincia a mostrare i segni di quel drammatico degrado che nei secoli ha più volte richiesto interventi più o meno riusciti di restauro. Leonardo ha immaginato una vastissima sala alle spalle delle figure (più grandi del naturale), illuminata sul lato sinistro dalle finestre reali del Refettorio, mentre dalle tre grandi aperture dipinte sul fondo della scena si diffonde una soffusa eppure chiara luminosità. In questo suggestivo ambiente di architettura, luce e prospettiva, emerge l’onda psicologica che si diffonde fra gli Apostoli all’annuncio del tradimento, che scuote gli animi, agita i corpi, travolge i cuori. Ogni più piccolo dettaglio partecipa organicamente al dinamismo fisico e psicologico della scena, rivelando la meticolosa pazienza con cui Leonardo aveva studiato gesti ed espressioni, figure e natura.